Per la serie “cose
concrete”, oggi parliamo di IMU-Bankitalia. Purtroppo la materia è complessa, ma
non cadiamo nell’errore di dire “ho capito tutto” dopo avere ridotto la
questione in termini più semplici, perché non è proprio possibile
ridurcela. Per comprendere bene dobbiamo aver chiara la differenza tra “capitale”,
“cassa” e “profitti”. Se ragioniamo in termini di “son comunqe soldi”
commettiamo un gravissimo errore: si tratta di concetti ben diversi.
Vi linko due
articoli, uno dell’Huffington Post e uno del Fatto Quotidiano. Vediamo di
riassumere che cosa dicono questi contributi.
In primis, occorre
chiarire che gli azionisti di Bankitalia sono sempre state le banche, mai il
Governo. E’ la stessa cosa della Federal Reserve americana e della BCE: non
sono di proprietà del Governo. I soldi della riserva da quindici miliardi di
Bankitalia, pertanto sono già di proprietà delle Banche, tanto è vero che su essi già
percepiscono un dividendo del valore massimo del 4% della riserva.
La riserva è in pratica un “salvadanaio” che garantisce il debito pubblico
italiano, un fondo di accantonamento da usarsi solo in caso di rischio default
dello Stato. Ma non si tratta di soldi dei cittadini, non vengono dalle nostre
tasche e non sono fondi pubblici
La Banca d’Italia,
poi ha un capitale sociale di 135.000,00 euro (trecento milioni di lire,
versati nel 1936 dalle banche di allora) mai rivalutato. E’ una cifra ridicola,
non paragonabile al capitale delle altre banche centrali. Occorreva
rivalutarla. Ma perché era così urgente da farlo per decreto, dato che la cosa
è andata avanti per ottanta anni circa?
Semplice: perché il
Governo ha trovato un trucco (che ha mandato in bestia la BundesBank per la
furbizia machiavellica escogitata da Saccomanni) per usare la rivalutazione del
capitale Bankitalia come sostegno per la ricapitalizzazione delle banche
private. Si tratta di un’operazione che hanno dovuto fare tutti i governi europei colpiti dalla crisi
(incluso quello inglese che ha letteralmente svenato i contribuenti per non fare
fallire la Royal Bank of Scotland), per porre rimedio al
braccino corto degli azionisti di certe banche che non hanno sottoscritto
abbastanza capitale per il giro d’affari che hanno. In Italia questa operazione
non la si era fatta con grandi cifre, e infatti alcune banche tipo Unicredit
sono tuttora sottocapitalizzate (scusate il difficilese, ma è proprio un
soggetto complicato), con conseguenti rischi per i correntisti.
L’unico punto discutibile
del decreto il non avere preteso prima la ricapitalizzazione da parte dei soci
delle Banche. Qui evidentemente si poteva fare di meglio, e far pagare il conto
a chi dovrebbe. Ma attenzione, il Governo italiano ha comunque fatto meglio di
altri esecutivi europei. Vediamo perché.
Bene, con il decreto
Bankitalia il genio malefico di Saccomanni riesce a ricapitalizzare le Banche
senza fare pagare il conto agli italiani. Sposta infatti parte delle riserve di
Bankitalia a capitale (l’articolo del Fatto dice “sposta i soldi da una tasca
all’altra”), ascrivendole in conto capitale alle banche. Di fatto fa a
costo zero la stessa cosa che a Cameron era costata un patrimonio in denaro
pubblico elargito a fondo perduto (venticinque miliardi di euro – e i
contribuenti inglesi hanno bestemmiato oltre ogni dire per questo). Invece di mettere in sicurezza le banche coi soldi dei contribuenti, Saccomanni
usa il “salvadanaio” di Bankitalia per fare la stessa cosa. E’ un’operazione ai
limiti dell’ammissibile, ma è stata approvata dalla UE – con forti rosicamenti
tedeschi. Costo finale per il cittadino italiano: zero. Per una volta tanto,
non pagano i soliti noti.
Attenzione però,
anche sui vantaggi oltre che sui costi occorre fare delle precisazioni. Le
Banche che si trovano questi soldi extra che provengono dal “salvadanaio” che era
già di loro proprietà ma al quale non potevano attingere se li ritrovano in
conto capitale, non in conto profitti. Che cosa vuol dire? Vuol dire che:
- Non possono distribuirli come dividendi
- Non possono usarli per spese ordinarie o peggio per pagare superbonus a manager di dubbia capacità
- Sul plusvalore che si è generato per la rivalutazione ci debbono pagare le tasse
- Se vendono le quote rivalutate – come sono inoltre obbligate a fare, dato che la legge impone di non avere più del 5% delle azioni di Bankitalia - ci debbono pagare le tasse in ragione del 12% come su ogni transazione finanziaria
- Possono invece investirli prestandoli alle imprese o ai privati, o comunque tenerli in cassa per garantire i depositi dei correntisti
Le quote rivalutate
poi generano dividendi in ragione del sei percento massimo. Attenzione però, è
il sei percento del capitale (sette miliardi), non più della riserva (quindici
miliardi), quindi la cifra di fatto non cambia. Inoltre questo è il livello
massimo, quello effettivo lo decide il consiglio di amministrazione di
Bankitalia, che non è nominato dalle banche ma dal Governo, e che non ha mai
distribuito il massimo dei dividendi.
Insomma, le banche ci
guadagnano, ma nel senso che sono più capitalizzate e più capaci di generare
profitti se imprestano denaro ai contribuenti, non nel senso che manager e
azionisti si mettono in tasca quei soldi. Questo non è assolutamente possibile.
Infine, il punto più
importante: quanto pagano le Banche in tasse su questa operazione? Circa mezzo
miliardo di euro, tra plusvalenza e transazioni (e le transazioni sono
obbligatorie, chi ha più del 3% deve vendere le quote eccedenti). Il governo
queste cifre può scriverle a bilancio come attività. Attenzione quindi, questi
non sono più soldi che vanno in un “salvadanaio” da cui non possono essere
prelevati per spesa corrente, questi sono cassa utilizzabile immediatamente! E
infatti il Governo col decreto li usa per coprire un sesto del fabbisogno
necessario alla cancellazione della seconda rata IMU. In pratica, i soldi che
venivano originariamente dal “salvadanaio” di Bankitalia, dove stanno fermi a
non far nulla se non garantire contro imprevisti, vengono usati per abbassare
di un po’ le tasse.
Avete capito? Il
decreto prende i soldi dalle riserve delle banche e ne infila una parte in
tasca ai cittadini sottoforma di IMU risparmiata. Avevate capito il contrario,
che prendeva i soldi dalle vostre tasche e li dava alle banche? Avevate capito
male.
Infine, c’è un
piccolo particolare che era sfuggito a molti. Quel mezzo miliardo che proviene
dalla tassazione delle somme spostate in conto capitale è indispensabile per
raggiungere la copertura finanziaria dell’abolizione IMU. In pratica il decreto
legge, se fosse stata approvata la sola parte IMU, non avrebbe avuto la
copertura economica necessaria. Non si poteva quindi materialmente dividere il
decreto in due. Ed ecco spiegato anche perché si è dovuto ricorrere a un
decreto per fare una cosa che era meglio fare per legge ordinaria. In realtà
non era Bankitalia che era urgente, è che serviva trovare soldi in fretta per
via dell’IMU.
Bene se avete avuto
la pazienza di seguirmi fin qui, vi sarete accorti che la materia di questo
decreto era piuttosto complicata (la BundesBank l’ha definita “finanza creativa”,
il che fa capire che i tedeschi hanno rosicato perché stavolta non son riusciti a imporci di far
pagare il conto ai cittadini), ed era facile farsi un’idea errata della questione. Spero
questo riassunto sia servito, perché di commenti superficiali su questo
argomento ne sono girati molti.
Nessun commento:
Posta un commento