giovedì 13 febbraio 2014

Marius, la giraffa “non più utile alla sua specie”



La giraffa Marius dello zoo di Copenhagen è stata soppressa per evitare che si accoppiasse con consanguinei. Ma si tratta davvero  di un'eventualità così nefasta come sostengono gli zoo?

Molti  si sono giustamente indignati per l’uccisione – tra l’altro abbastanza spettacolarizzata – della giovane giraffa. Molti hanno anche firmato la petizione per le dimissioni del Direttore dello zoo. Diversi pareri sono però circolati di recente in rete, non ultimo quello di una collaboratrice del National Geographic, secondo cui l’eutanasia sarebbe stata un atto mal gestito ma necessario per evitare il temuto fenomeno dell’in-breeding, ossia la riproduzione fra consanguinei che indebolirebbe la specie e ne favorirebbe l’estinzione se gli esemplari detenuti negli zoo dovessero essere utilizzati per ricostituire la popolazione delle giraffe in natura dopo un disastro ambientale.

L’Associazione degli Zoo e Acquari Europei (EAZA) ha poi rilasciato un comunicato in cui difende l’operato del direttore Berg Holst che ha rifiutato di inviare l’animale a uno zoo svedese che si era offerto. EAZA dice anche che tranne casi eccezionali non consente il trasferimento di animali verso zoo e bioparchi non appartenenti al network. Leggasi: normalmente preferiamo abbatterli piuttosto che mandarli in zoo con politiche diverse dalla nostra, perché riteniamo di avere delle ragioni scientifiche per farlo. Più esplicitamente, EAZA afferma che se la giraffa si fosse accoppiata con consanguinei in uno zoo che non pratica la rigida politica di controllo della diversità genetica applicata da EAZA, ciò avrebbe costituito un potenziale pericolo per la specie delle giraffe. Le parole esatte usate sono could not contribute to the future of its species further”, ma dietro l’eufemismo il senso è quello.

Il resto di questo articolo si occuperà della fondatezza delle argomentazioni scientifiche sull’in-breeding. Chi scrive ha ucciso e dissezionato parecchi animali ai tempi dell’università (principalemente invertebrati, e mai giraffe) quindi non ci sarà nessun cedimento al sentimentalismo pro-animalista. Gli animali stessi sono capaci di infliggere indicibili sofferenze ai loro simili, e non sono come li rappresentano i cartoni animati. Questo blog è fermo nel sostenere e diffondere una giusta informazione sugli animali. Occorre inoltre capire che eventuali critiche sono da muoversi alla decisione di abbattere l'animale, non al programma di monitoraggio e selezione genetica della popolazione in cattività, che è comunque una pratica utilissima.

Secondo le opinioni più accreditate, l’in-breeding o accoppiamento tra consanguinei potrebbe portare, oltre che alle note conseguenze di una aumentata incidenza di malformazioni e aborti spontanei, anche all’estinzione di una specie animale per via della ridotta capacità di adattamento dovuta alla minore variabilità genetica.

E’ bene innanzitutto sottolineare che in natura l’in-breeding è un fenomeno frequente, perché gli animali non “tengono traccia” dei rapporti di parentela una volta adulti come fa l’uomo, e si accoppiano senza distinzione con genitori, fratelli e figli senza farci molto caso. Pertanto anche in natura la giraffa Marius avrebbe rischiato di finire a “darsi da fare” con consanguinei stretti.

Molto più importante è però il fatto che non esistono riscontri che confermano la correlazione tra in-breeding e estinzione. A conoscenza di chi scrive, infatti, non ci sono studi scientifici dettagliati che analizzano il fenomeno dell’estinzione di una specie e riescono a trovare una correlazione statistica significativa con l’in-breeding. In una ricerca fatta ieri in rete con altri amici abbiamo reperito al massimo uno studio che correlava l’estinzione di una popolazione (non l’intera specie) di farfalle con l’in-breeding, e parecchi articoli che invece trovavano dati che sembrano (occhio, sembrano, non c’è ancora molto di certo) confutare la pericolosità dell’in-breeding per la sopravvivenza delle specie. In sintesi, su questo argomento ne sappiamo ancora molto poco. Quindi quanto si sostiene sulla pericolosità del fenomeno è dovuto a estrapolazioni e deduzioni logiche, che sono assolutamente ragionevoli, ma non sono scientificamente provate. Occhio, che nelle scienze naturali tra i due concetti di ragionevole e provato c’è un abisso di differenza!

Se chi legge conosce lavori scientifici sperimentali che forniscono una buona volta una correlazione statistica tra inbreeding e estinzione, è invitato a segnalarli all'autore, dato che un’opinione scientifica è sempre soggetta a cambiamento se emergono nuovi dati sperimentali. Sottolineo dati sperimentali, con relativa analisi statistica, non dotte opinioni in stile internettiano.

Infine, se mi consentite di annoiarvi ancora un po’, vi sottopongo un caso concreto che può aiutare anche chi non è addetto ai lavori quanto la cosa è complessa e quanto lontani siamo dal fare previsioni corrette sul rischio che una specie corre a causa dell’in-breeding.

Nella savana insieme alle giraffe vivono anche i ghepardi e i leoni, anch’essi sotto controllo scientifico per possibile rischio estinzione. Orbene, mentre il leone (Panthera leo) è considerato una specie geneticamente sana, il ghepardo (Acinonyx jubatus) presenta una sorprendente mancanza di diversità genetica, addirittura venti volte meno degli altri felini, che si ritiene essere il frutto di in-breeding forzato avvenuto millenni or sono. Vi lascio alla lettura degli innumerevoli articoli scientifici reperibili per una spiegazione completa del fenomeno: ricordo che la notizia apparve già trenta anni fa su Scientific American ai tempi in cui ero studente. E già allora mi sorse qualche perplessità.

In pratica dunque al ghepardo è successo quello che i signori di EAZA temono potrebbe succedere alla giraffa se si lasciassero riprodure i vari Marius negli zoo senza controllo umano: la perdita grave di diversità genetica. Ma le conseguenze sono davvero così gravi come temono i genetisti?

Notiamo innanzitutto che la scarsa diversità genetica non si traduce necessariamente in ghepardi “tutti uguali” come qualcuno ogni tanto afferma. Come molti altri felini, il ghepardo presenta una colorazione alternativa che raramente ma costantemente compare nelle popolazioni selvatiche. Si tratta dei ghepardi “a strisce” o “reali”, che sono l’equivalente delle pantere nere per leopardi e giaguari (ossia individui neri invece che a chiazze) e dei rari leoni bianchi. Insomma, se mi scusate un termine molto tecnico, l’estrema uniformità del genotipo non si traduce necessariamente in una perdita di varietà del fenotipo. Primo indizio che bisogna indagare più a fondo.

Facciamo poi un bel confronto dal punto di vista ecologico e demografico tra ghepardo e leone. Ecco i due areali di diffusione in Africa (i pochi leoni sopravvissuti in Asia non sono statisticamente significativi).

Areale del ghepardo:



Areale del leone (in blu, l’area in rosso è quella occupata prima dell’arrivo dell’uomo);

Per quanto riguarda le popolazioni, i ghepardi sono stimati in tredicimila individui, i leoni in un numero maggiore, ma non di molto. In ogni caso l’ordine di grandezza è lo stesso, i leoni viventi sono al massimo il triplo dei ghepardi, in condizioni di “sofferenza” per i danni provocati dall’uomo che sono praticamente identiche, dato che come vedete sopra vivono nello stesso habitat (e prendono le stesse schioppettate dai pastori africani perché si mangiano le loro capre). Quanto poi al rischio calcolato di estinzione, ambedue le specie sono valutate come “vulnerabili”, ossia corrono rischi ma non sono ancora all’ultima spiaggia.

Insomma, sugli allarmi che da trenta anni circa vengono lanciati sul rischio di estinzione del ghepardo per la sua mancanza di diversità genetica si possono formulare parecchi dubbi. Io personalmente ne dubitavo già trenta anni fa, e più il ghepardo “tiene duro”, come pare stia facendo, più gli scienziati hanno il dovere di comportarsi da scienziati, ossia indagare a fondo prima di parlare, e soprattutto di agire. Come nel caso della giraffa “che non poteva più contribuire al futuro della sua specie”.

Povero Marius, lo hanno condannato a morte sulla base di indizi di colpevolezza, e non di vere prove. Forse meritava un supplemento di indagine prima di essere dato in pasto ai leoni.

Vignetta di Dario Corallo


Qui termina la parte scientifica dell’articolo. Mi permetto di fare un’ultima considerazione. L’EAZA nel suo comunicato afferma che “the decision to euthanise the giraffe at Copenhagen zoo was taken for valid reasons and not taken lightly”. Sulla prima parte, ossia sulle ragioni valide, ho detto la mia opinione informata e attendo confutazione da persone competenti tramite dati concreti. Sulla seconda parte, ossia che non sia stata presa alla leggera, direi che la plateale spettacolarizzazione della morte ed autopsia dell’animale confermi esattamente il contrario di quanto afferma l’EAZA. Da appassionato di anatomia e morfologia animale, non penso proprio che sia il caso di far macellare giraffe davanti ai bimbi.

Sono disponibili online petizioni per cacciare il macellaio/showman dallo zoo di Copenhagen e per persuadere EAZA a rivedere la sua politica su trasferimenti e eutanasie. A chi legge la scelta se firmare o no.

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