giovedì 6 febbraio 2014

Parliamo di cose concrete - 2 - Bankitalia



Per la serie “cose concrete”, oggi parliamo di IMU-Bankitalia. Purtroppo la materia è complessa, ma non cadiamo nell’errore di dire “ho capito tutto” dopo avere ridotto la questione in termini più semplici, perché non è proprio possibile ridurcela. Per comprendere bene dobbiamo aver chiara la differenza tra “capitale”, “cassa” e “profitti”. Se ragioniamo in termini di “son comunqe soldi” commettiamo un gravissimo errore: si tratta di concetti ben diversi.

Vi linko due articoli, uno dell’Huffington Post e uno del Fatto Quotidiano. Vediamo di riassumere che cosa dicono questi contributi.

In primis, occorre chiarire che gli azionisti di Bankitalia sono sempre state le banche, mai il Governo. E’ la stessa cosa della Federal Reserve americana e della BCE: non sono di proprietà del Governo. I soldi della riserva da quindici miliardi di Bankitalia, pertanto sono già di proprietà delle Banche, tanto è vero che su essi già percepiscono un dividendo del valore massimo del 4% della riserva. La riserva è in pratica un “salvadanaio” che garantisce il debito pubblico italiano, un fondo di accantonamento da usarsi solo in caso di rischio default dello Stato. Ma non si tratta di soldi dei cittadini, non vengono dalle nostre tasche e non sono fondi pubblici

La Banca d’Italia, poi ha un capitale sociale di 135.000,00 euro (trecento milioni di lire, versati nel 1936 dalle banche di allora) mai rivalutato. E’ una cifra ridicola, non paragonabile al capitale delle altre banche centrali. Occorreva rivalutarla. Ma perché era così urgente da farlo per decreto, dato che la cosa è andata avanti per ottanta anni circa?

Semplice: perché il Governo ha trovato un trucco (che ha mandato in bestia la BundesBank per la furbizia machiavellica escogitata da Saccomanni) per usare la rivalutazione del capitale Bankitalia come sostegno per la ricapitalizzazione delle banche private. Si tratta di un’operazione che hanno dovuto fare tutti i governi europei colpiti dalla crisi (incluso quello inglese che ha letteralmente svenato i contribuenti per non fare fallire la Royal Bank of Scotland), per porre rimedio al braccino corto degli azionisti di certe banche che non hanno sottoscritto abbastanza capitale per il giro d’affari che hanno. In Italia questa operazione non la si era fatta con grandi cifre, e infatti alcune banche tipo Unicredit sono tuttora sottocapitalizzate (scusate il difficilese, ma è proprio un soggetto complicato), con conseguenti rischi per i correntisti.

L’unico punto discutibile del decreto il non avere preteso prima la ricapitalizzazione da parte dei soci delle Banche. Qui evidentemente si poteva fare di meglio, e far pagare il conto a chi dovrebbe. Ma attenzione, il Governo italiano ha comunque fatto meglio di altri esecutivi europei. Vediamo perché.

Bene, con il decreto Bankitalia il genio malefico di Saccomanni riesce a ricapitalizzare le Banche senza fare pagare il conto agli italiani. Sposta infatti parte delle riserve di Bankitalia a capitale (l’articolo del Fatto dice “sposta i soldi da una tasca all’altra”), ascrivendole in conto capitale alle banche. Di fatto fa a costo zero la stessa cosa che a Cameron era costata un patrimonio in denaro pubblico elargito a fondo perduto (venticinque miliardi di euro – e i contribuenti inglesi hanno bestemmiato oltre ogni dire per questo). Invece di mettere in sicurezza le banche coi soldi dei contribuenti, Saccomanni usa il “salvadanaio” di Bankitalia per fare la stessa cosa. E’ un’operazione ai limiti dell’ammissibile, ma è stata approvata dalla UE – con forti rosicamenti tedeschi. Costo finale per il cittadino italiano: zero. Per una volta tanto, non pagano i soliti noti.

Attenzione però, anche sui vantaggi oltre che sui costi occorre fare delle precisazioni. Le Banche che si trovano questi soldi extra che provengono dal “salvadanaio” che era già di loro proprietà ma al quale non potevano attingere se li ritrovano in conto capitale, non in conto profitti. Che cosa vuol dire? Vuol dire che:

  •  Non possono distribuirli come dividendi
  • Non possono usarli per spese ordinarie o peggio per pagare superbonus a manager di dubbia capacità
  • Sul plusvalore che si è generato per la rivalutazione ci debbono pagare le tasse
  • Se vendono le quote rivalutate – come sono inoltre obbligate a fare, dato che la legge impone di non avere più del 5% delle azioni di Bankitalia - ci debbono pagare le tasse in ragione del 12% come su ogni transazione finanziaria
  • Possono invece investirli prestandoli alle imprese o ai privati, o comunque tenerli in cassa per garantire i depositi dei correntisti


Le quote rivalutate poi generano dividendi in ragione del sei percento massimo. Attenzione però, è il sei percento del capitale (sette miliardi), non più della riserva (quindici miliardi), quindi la cifra di fatto non cambia. Inoltre questo è il livello massimo, quello effettivo lo decide il consiglio di amministrazione di Bankitalia, che non è nominato dalle banche ma dal Governo, e che non ha mai distribuito il massimo dei dividendi.

Insomma, le banche ci guadagnano, ma nel senso che sono più capitalizzate e più capaci di generare profitti se imprestano denaro ai contribuenti, non nel senso che manager e azionisti si mettono in tasca quei soldi. Questo non è assolutamente possibile.

Infine, il punto più importante: quanto pagano le Banche in tasse su questa operazione? Circa mezzo miliardo di euro, tra plusvalenza e transazioni (e le transazioni sono obbligatorie, chi ha più del 3% deve vendere le quote eccedenti). Il governo queste cifre può scriverle a bilancio come attività. Attenzione quindi, questi non sono più soldi che vanno in un “salvadanaio” da cui non possono essere prelevati per spesa corrente, questi sono cassa utilizzabile immediatamente! E infatti il Governo col decreto li usa per coprire un sesto del fabbisogno necessario alla cancellazione della seconda rata IMU. In pratica, i soldi che venivano originariamente dal “salvadanaio” di Bankitalia, dove stanno fermi a non far nulla se non garantire contro imprevisti, vengono usati per abbassare di un po’ le tasse.

Avete capito? Il decreto prende i soldi dalle riserve delle banche e ne infila una parte in tasca ai cittadini sottoforma di IMU risparmiata. Avevate capito il contrario, che prendeva i soldi dalle vostre tasche e li dava alle banche? Avevate capito male.

Infine, c’è un piccolo particolare che era sfuggito a molti. Quel mezzo miliardo che proviene dalla tassazione delle somme spostate in conto capitale è indispensabile per raggiungere la copertura finanziaria dell’abolizione IMU. In pratica il decreto legge, se fosse stata approvata la sola parte IMU, non avrebbe avuto la copertura economica necessaria. Non si poteva quindi materialmente dividere il decreto in due. Ed ecco spiegato anche perché si è dovuto ricorrere a un decreto per fare una cosa che era meglio fare per legge ordinaria. In realtà non era Bankitalia che era urgente, è che serviva trovare soldi in fretta per via dell’IMU.

Bene se avete avuto la pazienza di seguirmi fin qui, vi sarete accorti che la materia di questo decreto era piuttosto complicata (la BundesBank l’ha definita “finanza creativa”, il che fa capire che i tedeschi hanno rosicato perché stavolta non son riusciti a imporci di far pagare il conto ai cittadini), ed era facile farsi un’idea errata della questione. Spero questo riassunto sia servito, perché di commenti superficiali su questo argomento ne sono girati molti.


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